Scoperto come la memoria spaziale è facilitata da segnali MCH nel setto

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 22 gennaio 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La nostra società scientifica è stata per anni impegnata nel combattere due retaggi negativi delle neuroscienze del ventesimo secolo: le molecole-funzione e la localizzazione di una funzione psichica in una ristretta e circoscritta area anatomica cerebrale.

Nel primo caso l’errore consisteva nel considerare come realtà scientifica una forzatura divulgativa, quale quella della serotonina (5-HT) “molecola dell’umore” o dell’ossitocina (OXT) “molecola della fiducia”, supportata da semplificazioni introdotte nella ricerca farmacologica dagli interessi delle case farmaceutiche. È evidente, ad esempio, che uno stato psichico quale il tono dell’umore è la risultante dell’equilibrio fra l’attività delle grandi reti neuroniche cerebrali, cui prendono parte i 52 neurotrasmettitori, le differenti classi dei loro recettori, le preziose attività della glia e così via, e non l’effetto di un solo neurotrasmettitore, la 5-HT, solo perché si dispone di farmaci che, agendo sulla sua ricaptazione, sembrano in grado di modificare l’umore depresso[1].

 Nel secondo caso l’errore era dato dal generalizzare come nozione di neurofisiologia quella sorta di convenzione degli studi di neuroimmagine, in particolare quelli condotti mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI), per cui le aree corticali attive durante un compito venivano ritenute le sedi responsabili di quelle funzioni[2], creando una “nuova frenologia”, ossia una versione aggiornata ma ugualmente infondata di quella scienza ottocentesca che localizzava, più o meno arbitrariamente, processi mentali, inclinazioni naturali, abilità cognitive, sentimenti e tratti del temperamento in aree circoscritte della superficie del cervello umano.

La gratitudine che abbiamo ricevuto dalle nuove generazioni di studenti, che si sono poi dedicati alla ricerca in varie branche delle neuroscienze, si spiega col fatto che, ordinariamente, lo studio per gli esami universitari e di dottorato è principalmente focalizzato sulla memorizzazione di una grande quantità di nozioni, mentre mancano incentivi e modelli per lo sviluppo di riflessioni logiche e ragionamenti interpretativi dei dati emergenti dalla ricerca, così come difettano le conoscenze necessarie a comprendere i limiti dei metodi e a fare la tara metodologica dei risultati, indispensabile per poter estrarre nozioni generalizzabili.

La nostra correzione di questi due errori ha spesso contribuito ad attrarre l’attenzione anche di coloro che si dedicano allo studio di uno specifico problema neurochimico nella migliore tradizione riduzionista della scienza di base o di un particolare rapporto tra alterazione cerebrale circoscritta e manifestazione neuropsicologica clinica, di una questione che, anche se non la si vuole adottare come paradigma per lo studio del cervello, rimane un approdo fondamentale della conoscenza neuroscientifica, la cui negazione o negligenza sarebbe anacronistica: la complessità dell’encefalo.

Ormai da decenni l’encefalo umano è studiato elaborando modelli sviluppati sulla base della teoria matematica della complessità. Secondo la versione di questa teoria più seguita nelle scienze sperimentali, complesso è un sistema in cui le singole parti obbediscono a regole diverse da quelle che governano l’insieme. Questo criterio, non solo ci consente di comprendere lo scarto che esiste tra microcircuiti (ad esempio quelli delle colonne di dominanza oculare) e grandi sistemi globali (ad esempio quelli alla base delle attività psichiche), ma ci induce anche a cercare di rintracciare le ragioni biologiche dell’organizzazione dei sistemi alla base del nostro cervello, indagando in chiave filogenetica ogni traccia utile per comprendere quei criteri “costruttivi” che potranno rivelarci la struttura dinamica della rappresentazione cerebrale delle funzioni psichiche[3].

Un nuovo studio, che ha identificato un meccanismo mediante il quale la segnalazione di una molecola ipotalamica ad azione ormonale (MCH) agisce su sistemi neuronici del setto e dell’ippocampo facilitando la memoria spaziale, può costituire un esempio del modo corretto di concepire i ruoli e i rapporti tra molecole di segnalazione, sistemi neuronici, aree specializzate di elaborazione e funzioni tradizionalmente descritte secondo criteri cognitivi o psicologici.

Lo studio in questione, condotto da Jing-Jing Liu, Richard W. Tsien e Zhiping P. Pang, e qui di seguito presentato, ha chiarito il modo in cui il peptide ipotalamico definito per metonimia dall’azione più nota di concentrazione della melanina, intervenga modulando processi a supporto della codifica della memoria spaziale, ossia un meccanismo di notevole rilievo per la ricerca neuroscientifica.

(Liu J-J., et al., Hypothalamic melanin-concentrating hormone regulates hippocampus-dorsolateral septum activity. Nature Neuroscience 25, 61-71, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Child Health Institute of New Jersey, Rutgers University Robert Wood Johnson Medical School, New Brunswick, NJ (USA); Department of Neuroscience and Cell Biology, Rutgers University Robert Wood Johnson Medical School, New Brunswick, NJ (USA); NYU Neuroscience Institute, New York University School of Medicine, New York, NY (USA).

Il setto è una formazione cerebrale simile a una piccola lamina mediana e paramediana che contribuisce rostralmente alla separazione dei due emisferi cerebrali e, nella sua parte superiore, corrisponde al setto pellucido dell’anatomia classica, ossia una struttura laminare costituita da fibre, materia grigia e cellule gliali che forma una sottile parete – un setto, appunto – di separazione tra i due ventricoli laterali di destra e sinistra. Il setto pellucido o setto lucido è così detto per la sua sottigliezza che lo rende quasi trasparente[4]; per poterlo studiare morfologicamente, alla dissezione del cervello si adotta la classica sezione sagittale, e si rileva immancabilmente che rimane su una delle facce mediali degli emisferi, perché la sua sottigliezza lo fa sfuggire al taglio. Per rendersi conto dell’aspetto e soprattutto della posizione di questa formazione è necessaria un’illustrazione anatomica, tuttavia si può provare a suggerirne l’immagine mentale in chi ricordi la disposizione del corpo calloso e del fornice o “volta a quattro pilastri”. Il setto è compreso all’interno della curva formata dal ginocchio del corpo calloso, che lo delimita in alto e anteriormente, mentre posteriormente si inserisce sul pilastro anteriore del fornice; in basso il setto è posto al di sopra della commessura anteriore.

La conformazione esterna è così descritta nel trattato classico di Testut e Latarjet: “La forma del setto pellucido si può paragonare a quella di un triangolo curvilineo, perciò se ne possono indicare due facce, tre margini e tre angoli. Le due facce, destra e sinistra, formano la parete interna del corno anteriore dei ventricoli laterali; sono lucide e pianeggianti, di colorito grigiastro.

Dei tre margini, quello superiore è il più lungo, rettilineo e orizzontale; si unisce alla faccia inferiore del corpo calloso. Il margine inferiore è concavo e si unisce al fornice. Il margine anteriore è convesso; corrisponde al ginocchio del corpo calloso. L’angolo anteriore, indistinto dal margine [infatti, non c’è un angolo essendo il margine arrotondato in convessità, N.d.R.] ne ha uguali i rapporti. L’angolo posteriore è insinuato fra corpo calloso e fornice: forma la cosiddetta coda del setto in quanto termina molto assottigliato. L’angolo inferiore corrisponde al margine superiore della commessura anteriore: si prolunga dietro la lamina rostrale nel peduncolo del setto[5].

Quando si studi il setto mediante sezioni trasverse si scorge al suo interno una piccola cavità: il cavo del setto, al quale impropriamente era stato dato in passato il nome di “ventricolo” nonostante la sua massima larghezza sia intorno ai 2-3 millimetri. Il cavo supera di poco il centimetro di altezza e si estende indietro per due o tre centimetri fino al livello della parte media del corpo calloso[6].

Dopo questi elementi di anatomia descrittiva, intesi soprattutto a rievocare una memoria morfologica, ricordiamo ora le connessioni principali note fin dai tempi degli studi anatomici classici, che portarono a collocare il setto, anche in base a considerazioni di anatomia comparata[7], fra le strutture dell’apparato olfattivo: le fibre principali in uscita dal setto formano il fascio setto-talamico raggiungendo la taenia talami e la parte anteriore del talamo; un fascetto prolunga in basso l’angolo inferiore del setto, costituendo il peduncolo del setto pellucido, le cui fibre vanno in parte alla sostanza perforata anteriore, in parte, mediante la stria midollare, al nucleo dell’abenula[8].

Attualmente si studia in dettaglio la struttura grigia della regione settale, sita subito sotto il livello in cui il setto separa i ventricoli laterali e caratterizzata da quattro gruppi di nuclei: ventrale, dorsale, mediale e caudale. Il più interessante appare quello mediale che contiene il nucleo mediale del setto e il nucleo della benderella diagonale di Broca.

Le fibre afferenti maggiori alla regione terminano primariamente nel nucleo laterale del setto e includono fibre portate attraverso il fornice, che provengono dai campi CA3 e CA1 dell’ippocampo e, in parte minore, dal subicolo. Le connessioni in entrata e in uscita con area preottica, ipotalamo, locus coeruleus, nuclei dal rafe, area tegmentale ventrale (VTA), abenule, mesencefalo e con popolazioni serotoninergiche e dopaminergiche varie, sono così numerose da non poter essere qui menzionate nel dettaglio[9], ma lasciano comprendere la partecipazione dei neuroni del setto all’attività di numerose reti implicate sia nel comportamento istintivo (omeostatico), nella motivazione e nelle emozioni, sia in processi cognitivi, allontanando definitivamente il criterio di fisiologia localizzatrice schematica e ingenua, che ne aveva fatto una piccola struttura di supporto al rinencefalo per l’olfatto.

Il peptide ipotalamico MCH (melanin concentrating hormone) contribuisce alla regolazione dell’omeostasi energetica, del sonno e della memoria, come è stato accertato e dimostrato da tempo, ma ad oggi non si ha ancora conoscenza dei meccanismi mediante i quali la sua attività di segnalazione partecipi agli eventi e ai processi alla base di queste essenziali funzioni del cervello, rilevanti per tutta l’economia dell’organismo e per la stessa vita animale e umana.

Jing-Jing Liu, Richard W. Tsien e Zhiping P. Pang hanno indagato nel topo la segnalazione MCH delle proiezioni neuroniche che raggiungono la parte dorsale e laterale del setto, o setto dorso-laterale (dLS). È questa una regione molto interessante in quanto i suoi neuroni intervengono nell’incardinare i ritmi di scarica e picchi delle popolazioni di cellule nervose dell’ippocampo che, grazie a tali regolarità ritmiche di raffiche di potenziali d’azione possono codificare la memoria spaziale.

Le osservazioni sperimentali evidenziano in modo chiaro che l’eccitazione della porzione dorsale della regione CA3 dell’ippocampo (dCA3) determina in risposta un’attività di accensione dei neuroni del dLS limitata da una forte inibizione a feedforward (FFI). I tre ricercatori hanno individuato due eventi chiave: MCH sincronizza le scariche sinaptiche delle cellule nervose del dLS con il loro input proveniente da dCA3 accrescendo il rilascio inibitorio di GABA, il quale, a sua volta, riduce l’inibizione FFI e aumenta la forza dell’input eccitatorio dei neuroni di dCA3, in entrambi i casi agendo al livello presinaptico.

La lettura di questi dati in termini neurofisiologici rivela un ruolo per la segnalazione MHC nel setto dorsolaterale che facilita la formazione di memorie spaziali.

La scoperta di questo meccanismo, come osservano gli stessi autori dello studio, supporta un modello in cui la segnalazione peptidergica all’interno del dLS modula l’output dell’ippocampo dorsale e supporta la codifica della memoria.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-22 gennaio 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Così come la cosiddetta “teoria serotoninergica della depressione” non era una teoria scientifica, ma una costruzione ad hoc per giustificare l’apparente efficacia antidepressiva su modelli sperimentali degli inibitori della ricaptazione triciclici meno selettivi (imipramina, amitriptilina), prima, e di quelli più selettivi (SSRI), poi, allo stesso modo non era una teoria scientifica la cosiddetta “teoria dopaminergica della schizofrenia”, costruita sulla base empirica dell’azione anti-dopaminergica degli antipsicotici neurolettici di prima generazione.

[2] È opportuno sottolineare che, sebbene nella maggior parte degli studi il testo seguiva la forma corretta e prudente della definizione delle aree attive come “associate” al comportamento, gli autori nel discutere, interpretare e poi ulteriormente impiegare gli esiti delle loro osservazioni, consideravano di fatto le aree associate “sedi” delle abilità esplorate.

[3] Ho espresso in questa sintesi estrema e un po’ grossolana la visione del nostro presidente Giuseppe Perrella, condivisa nella sostanza da tutti i membri della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”.

[4] Si ricorda che, mentre oggi il vocabolo italiano lucido è generalmente riferito a una superfice che riflette la luce, anticamente indicava più spesso il lasciarsi attraversare dalla luce di corpi sottili che oggi definiamo trasparenti.

[5] Testut & Latarjet, Anatomia Umana (V edizione in 6 voll.), III vol., p. 415, UTET, Torino 1973.

[6] In rari casi la cavità si prolunga all’indietro in forma di sottile diverticolo longitudinale sotto il corpo calloso, che arriva fino allo splenio, dove termina con una dilatazione di 10-12 millimetri di lunghezza, alla quale si diede il nome – anche in questo caso improprio – di ventricolo di Verga (cfr. Testut & Latarjet, op. cit., idem).

[7] Soprattutto nella ricerca di omologie con gli animali macrosmatici.

[8] Cfr. Testut & Latarjet, op. cit., p. 416.

[9] Gray’s Anatomy – The Anatomical Basis of Clinical Practice (Editor-in-Chief Susan Standrings), XXXIX Edition, p. 409, ELSEVIER, CHURCHILL LIVINGSTONE, New York 2005.